Un’attrice siede sul palco, immersa nei suoi pensieri, e inizia a immaginare come sarebbe interpretare il ruolo di “Alice nel paese delle meraviglie”. Lo spettacolo prende forma proprio nella sua testa, quel luogo oscuro ma fantastico dove magie e assurdità diventano possibili. I personaggi con i loro costumi, gli oggetti, le scenografie, le canzoni e le coreografie colorano l’oscurità dell’inconscio, la scatola nera del teatro. Durante il suo viaggio immaginario, la protagonista inizia però a perdersi, confondendo sempre di più la sua personalità con quella di Alice. Si immerge in questo mondo strampalato dove tutto è assurdo, dove niente è come è e tutto è come non è: un coniglio in ritardo, una regina grassa e antipatica, due cantastorie uguali ma diversi, un gatto stralunato che scompare e ricompare nel buio come un fantasma, un cappellaio e una lepre che festeggiano il loro “non compleanno” bevendo tazze di tè e tanto, tanto ancora.
Quando la protagonista torna alla realtà, si guarda intorno e realizza di essere sul palco con tanti spettatori che la guardano e ascoltano la sua storia. E adesso è pronta a chiudere nuovamente gli occhi per raccontarne un’altra o semplicemente per ascoltare la storia di un bimbo che a sua volta ha voglia di chiudere gli occhi e immaginare un nuovo mondo strampalato simile a quello di Alice. La linea di demarcazione tra attori e spettatori si rompe, dando spazio a un flusso di immagini che irrompono come un vortice dentro cui perdersi per evadere dalla quotidianità. “La logica vi porterà da A a B, l’immaginazione vi porterà dappertutto.” – A. Einstein